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Itinerari Gastronomici in Campania: i prodotti I.G.P.

9 Prodotti I.G.P. che rendono la Campania famosa in tutto il mondo

Il mondo dei prodotti tipici campani è molto più vasto di quanto immaginiamo, e non si limita solo ai prodotti come la pizza e la mozzarella di bufala, a cui spesso lo riduciamo. La Campania, infatti, può vantare una delle tradizioni culinarie più antiche, oltre che ricche, dell’interno panorama gastronomico mondiale e, con i suoi quasi 500 prodotti tipici detiene il primato in Italia insieme alla regione Toscana.

Il territorio della regione, infatti, abbonda sia di prodotti trasformati che di materie prime agricole di pregio che sono stati suddivisi in 4 denominazioni: P.A.T., S.T.G., D.O.P. e I.G.P..

In questo articolo vogliamo concentrarci su questi ultimi che, insieme ai prodotti D.O.P. e alla pizza, rendono la Campania famosa in tutto il mondo. I prodotti ad Indicazione Geografica Protetta, infatti, contribuiscono in larga parte a rendere l’Italia uno dei primi Paesi europei con il maggior numero di prodotti D.O.P. e I.G.P..

 

 

La Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) è un marchio di tutela giuridica attribuito dall’Unione Europea solo ai prodotti di pregio, ottenuti in zone fortemente vocate dalle quali prendono il nome e traggono le loro caratteristiche. Per poter utilizzare il marchio I.G.P. è necessario sottoporre il processo produttivo ad una serie di rigorosi controlli che ne certifichino la conformità al Disciplinare di Produzione.

In Campania, i prodotti che hanno ricevuto questa certificazione sono 9: Nocciola di Giffoni, Marrone di Roccadaspide, Castagna di Montella, Carciofo di Paestum, Limone Costa D’Amalfi, Limone di Sorrento, Melannurca Campana, Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, Pasta di Gragnano.

 

 

Nocciola di Giffoni

La produzione di nocciole è uno dei settori italiani di eccellenza e riguarda, in particolare, il Lazio (al primo posto nella produzione italiana), il Piemonte, la Campania e la Sicilia. La Campania si posiziona al secondo posto in questo panorama, con una produzione costituita per il 90% proprio dalla Tonda di Giffoni, definita la Regina Mondiale delle Nocciole.

Grazie alla sua forma perfettamente rotondeggiante, la polpa bianca e consistente, il suo sapore aromatico e la pellicola facilmente staccabile, questa I.G.P. si presta bene alla tostatura ma anche alla calibratura e alla pelatura: è quindi molto richiesta sia per il consumo diretto sia a livello industriale, specialmente nell’industria dolciaria, grazie anche ai suoi valori nutritivi.

La coltivazione di questa nocciola in Campania è molto antica. Numerose testimonianze provengono dalla letteratura latina, già a partire dal III secolo a.C., e da diversi reperti archeologici: sono stati rinvenuti dei resti carbonizzati di questa nocciola che, oggi, sono esposti al Museo Nazionale di Napoli.

La diffusione di questa coltura, partita proprio dalla Campania, è iniziata già nel XVII secolo, quando il suo commercio iniziava ad avere una vera e propria rilevanza economica. Nel ‘900, poi, questo prodotto ha registrato una fortissima espansione colturale, proprio in relazione alla forte richiesta da parte dell’industria dolciaria.

L’area di produzione della Nocciola di Giffoni I.G.P. è concentrata nel salernitano, soprattutto nella valle dell’Irno e nella zona dei Monti Picentini dove sono ubicati i 12 comuni interessati: Acerno, Baronissi, Calvanico, Castiglione del Genovesi, Fisciano, Giffoni Sei Casali, Giffoni Valle Piana, Montecorvino Pugliano, Montecorvino Rovella, Olevano sul Tusciano, San Cipriano Picentino, San Mango Piemonte. E’ proprio in queste aree, infatti, che il territorio di origine vulcanica offre le migliori condizioni di fertilità e, in generale, le proprietà qualitative che costituiscono le caratteristiche della Tonda.

Tutte queste caratteristiche non hanno tardato a far conferire alla Nocciola di Giffoni la sua certificazione I.G.P. nel 1997, riconosciuta con Regolamento (CE) n. 2325/97 successivamente modificato con Regolamento (CE) 1257/2006.

Della sua promozione, valorizzazione e tutela, insieme alle attività di vigilanza sul corretto uso della denominazione, se ne occupa il Consorzio di Tutela Nocciola di Giffoni I.G.P., incaricato dal MiPAAF con D.M. n. 10300 del 31/05/2011.

Marrone di Roccadaspide

Sempre della provincia di Salerno è tipico il Marrone di Roccadaspide, il cui nome deriva dall’ecotipo da cui proviene. Esso fa parte del gruppo genetico di castagne presenti nel territorio Campano riferibili alla cultivar madre del “Marrone di Avellino”.

Le caratteristiche distintive del Marrone di Roccadaspide sono rappresentate da una pezzatura media dei frutti, di forma prevalentemente semisferica, dalla buccia sottile di color castano bruno con sfumature rossastre che è facilmente distaccabile. Ha un notevole contenuto zuccherino che lo rende molto gradito per il consumo allo stato fresco ma anche per l’utilizzo nella produzione di marron glacés, marmellate, castagne al rum, puree e deliziosi dolci tipici della tradizione.
Per le sue caratteristiche è tra le poche varietà di castagne campane a potersi definire botanicamente e merceologicamente di tipo “marrone”.

Questo I.G.P. è considerato, insieme alla Castagna di Montella e a quella di Serino, tra le migliori castagne prodotte in Campania; ciò non solo per la qualità intrinseca della varietà, ma anche per il terreno e il clima favorevole che contribuiscono ad esaltare il livello qualitativo del prodotto.

La sua produzione, come per le altre castagne della Campania, è molto antica e risale già all’XII secolo. Ne danno testimonianza i preziosi manoscritti conservati nell’archivio della Badia di Cava che documentano l’esistenza di questi castagneti già nel 1183-84. La diffusione significativa del Marrone di Roccadaspide deve molto anche ai Monaci Basiliani e Benedettini, come confermano alcuni ritrovamenti archeologici a Moio della Civitella e a Gioi Cilento.

Ma la vera svolta della castanicoltura cilentana avvenne quando, a partire dal secolo scorso, le produzioni dell’area, date le loro caratteristiche pregiate e i miglioramenti delle tecniche di coltivazione, si sono progressivamente affermate sui mercati internazionali. Negli anni ’40, poi, fu effettuata una massiccia azione di innesto che estese la zona di produzione di questo pregiato prodotto anche fuori da Roccadaspide.

La zona di produzione di questo prodotto è, oggi, localizzata nella provincia di Salerno ed in particolare nell’areale che comprende gli Alburni, il Calore salernitano e una parte del Cilento, coincidente in larga misura con il territorio del Parco del Cilento e Vallo di Diano, e comprendente circa 70 Comuni.

Nei primi anni 2000, su iniziativa della comunità locale e della cooperativa “Il Marrone”, il prodotto ha ottenuto un riconoscimento e una tutela formati da parte delle istituzioni; nel 2008, questo ha portato al riconoscimento ufficiale come I.G.P. (ai sensi del Reg. CE n. 510/06, con Regolamento n. 284/2008).

Castagna di Montella

Come già accennato prima, insieme al Marrone di Roccadaspide si posiziona ai primi posti nella produzione di castagne in Campania anche la Castagna di Montella. Sicuramente le motivazioni sono da ricercare, oltre che nella qualità intrinseca della varietà, anche nella composizione dei terreni in cui si produce, nel clima favorevole e nelle competenze acquisite dai castanicoltori.

Il frutto ha ricevuto la Denominazione di Origine Controllata (D.O.C.) nel 1987, diventando l’unico caso in Italia di prodotto ortifrutticolo con tale certificazione. Nel 1992, poi, la Commissione UE, con Regolamento CEE N. 2081/92 ha attribuito alla Castagna di Montella il riconoscimento di Indicazione geografica protetta, che si sostituisce al precedente.

Si tratta di castagne prodotte per il 90% dalla varietà Palummina (il cui nome deriva dalla forma del frutto, che ricorda una colomba, palomma in dialetto) e per il restante 10% dalla varietà Verdole. Esse sono solitamente di pezzatura media o medio – piccola, dalla forma rotondeggiante e dalla base piatta, con la sommità pelosa; il seme ha polpa bianca, è croccante ed è di sapore dolce. Queste caratteristiche rendono la Castagna di Montella adatta non solo all’utilizzo allo stato fresco o secco, ma anche a quello nell’industria di trasformazione, per uso marron glacés, marmellate, puree e dolci.

Le sue origini sono molto antiche: secondo alcuni, infatti, l’importazione del castagno dall’Asia Minore risalirebbe al VI – V secolo a.C.. Già in epoca longobarda, poi, se ne intuì l’importanza e fu emanata la prima legge per la tutela del frutto che, evidentemente, era considerato un prodotto prezioso. Basti pensare, infatti, all’importanza che assunse in epoca medievale la farina di castagna, soprattutto negli assedi di città e castelli grazie alla possibilità di lunga conservazione.

La produzione della Castagna di Montella si concentra nell’area del Terminio – Cervialto ed è limitata in particolare ai territori dei comuni di Montella, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano. Tuttavia, una parte della produzione è giunta anche negli Stati Uniti e in Canada in seguito alle emigrazioni del XIX secolo.

Sicuramente, dunque, la Castagna di Montella è un prodotto di grande importanza nella produzione ortifrutticola nazionale e internazionale; della sua tutela, infatti, se ne occupa la Cooperativa Castagne di Montella, mentre il Consorzio di Tutela è in via di costituzione.

 

Carciofo di Paestum

Protetto dal consorzio di tutela dal 2012, invece, è il Carciofo di Paestum, I.G.P. dal 2004 (ai sensi del Reg. CE n. 2081/92, con Regolamento (CE) n. 465/2004).

Conosciuto anche con il nome di Tondo di Paestum, questo carciofo è ascrivibile al gruppo genetico dei carciofi di tipo “Romanesco”, ecotipo locale da cui deriva ma da cui si distingue per il carattere di precocità di maturazione, che gli consente di essere presente sul mercato prima di ogni altro carciofo di questo tipo.

Questa caratteristica, insieme all’aspetto rotondeggiante dei capolini, l’assenza di spine e la sua tenerezza, ha consacrato la sua fama tra i consumatori. Notorietà che è, sicuramente, anche frutto dell’accurata e laboriosa tecnica di coltivazione degli operatori agricoli della Piana del Sele, dove si coltiva principalmente, e del clima fresco e piovoso durante il lungo periodo di produzione (febbraio – maggio).

Le qualità intrinseche di questo I.G.P. consentono a questo prodotto di essere molto apprezzato in cucina, dove viene utilizzato nella preparazione di svariate ricette tipiche e di piatti locali come la pizza con i carciofini, la crema e il pasticcio ai carciofi, particolarmente graditi ai tanti turisti che visitano la Piana del Sele e in particolare i Templi di Paestum.

Quella del carciofo è diventata, a partire dagli anni ’70, una delle coltivazioni più importanti della Piana del Sele, in provincia di Salerno, e, in particolare, dei comuni di Agropoli, Albanella, Altavilla Silentina, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano, Serre.

 

Limone Costa D’Amalfi e Limone di Sorrento

Il limone è uno dei frutti più diffusi nei comuni della penisola sorrentino – amalfitana e, in particolare, dei comuni di Maiori, Minori, Amalfi, Sorrento e Massa Lubrense.
Entrambe le coltivazioni sono molto antiche: si ha traccia del Limone Costa D’Amalfi già in epoca medievale, e di quello Sorrentino già nel Rinascimento.

Il limone Costa D’Amalfi fu introdotto dagli Arabi nel corso della loro espansione e delle loro conquiste, in Spagna, in Sicilia e in Campania. Ma la vera diffusione avvenne durante il Medioevo quando si scoprì che le sue proprietà favorivano la guarigione dello scorbuto, malattia dovuta a carenza di vitamina C, di cui questi agrumi sono notoriamente ricchi.

Il nome della varietà Sfusato Amalfitano, che dà luogo alla Indicazione Geografica Protetta “Limone Costa d’Amalfi”, deriva dalle sue due caratteristiche più importanti: la forma affusolata del frutto (da cui il termine “sfusato”) e la zona in cui si è sviluppato.

E’ un prodotto dalle caratteristiche molto pregiate (la buccia spessa, la polpa succosa, l’aroma e il profumo intensi, la quasi assenza si semi) che lo rendono particolarmente adatto all’utilizzo in cucina, sia al naturale (nell’insalata, sulle carni, sul pesce) sia come ingrediente. Viene usato, infatti, non solo per il celebre liquore di limoni ma anche per il “caffè al limone”, servito da alcuni bar della zona, e per prodotti quali le delizie, i babà al limoncello, le torte, i profitteroles e altri dolci tipici della tradizione.

L’insieme di queste caratteristiche ha fatto sì che nel 2001 gli venisse conferita la certificazione I.G.P. (ai sensi del Reg. CE n. 2081/92, con Regolamento (CE) n. 1356 del 4.07.2001) e che, solo due anni dopo, venisse costituito il Consorzio di Tutela del Limone Costa D’Amalfi.

Per quanto riguarda il Limone di Sorrento, invece, la sua diffusione in Campania è documentata già a partire dal 1500 ma antenati dell’attuale ovale sorrentino risalgono già all’epoca dei romani. Negli scavi di Ercolano e Pompei sono stati, infatti, trovati numerosi dipinti che raffigurano limoni molto simili a quelli odierni di Sorrento.
Il prodotto è un ecotipo locale della specie Citrus Limone noto come Limone di Massa o Massese (Cultivar Massese) e, più comunemente, come Ovale di Sorrento.

Il limone di Sorrento è un prodotto che si distingue dagli altri prodotti simili grazie alle sue peculiari caratteristiche: dimensioni medio – grosse, forma ellittica, serbevolezza ed aroma. Le caratteristiche di qualità di questo IGP sono esaltate dalle particolari tecniche di produzione, ancora legate alla coltivazione delle piante sotto le famose pagliarelle, stuoie di paglia che vengono appoggiate a pali di sostegno di legno, solitamente di castagno, a copertura delle chiome degli alberi, al fine di proteggerli soprattutto dal freddo e dal vento e per conseguire anche un ritardo della maturazione dei frutti, che rappresenta uno dei principali elementi di tipicità di questa produzione.
Viene utilizzato anch’esso per numerosi piatti della tradizione, come le delizie, i babà al limoncello e il sorbetto al limone.

L’Ovale di Sorrento ha ricevuto la sua certificazione I.G.P. nel 2000 (ai sensi del Reg. CE n. 2081/92, con Regolamento (CE) n. 2446/2000) e, come lo sfusato, due anni dopo, nel 2002, è stato costituito il Consorzio di Tutela del Limone di Sorrento, ente preposto alla la valorizzazione, promozione e commercializzazione del prodotto.

Melannurca Campana

Altro prodotto di spicco dell’agricoltura Campana è la Melannurca, una delle varietà italiane di melo più conosciute e più apprezzate in assoluto dai consumatori, tale da essere conosciuta come la “Regina delle mele”.

Sappiamo che essa è presente in Campania da almeno due millenni grazie ad alcuni dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e, in particolare, nella Casa dei Cervi. La prima documentazione risale al I secolo d.C., ovvero al trattato di Plinio il Vecchio Naturalis Historia, in cui viene indicata come Mala Orcula in relazione al limitrofo “Orco”, ovvero il Lago d’Averno, sede degli inferi.

La melannurca presenta due varietà: la Sergente, dal sapore acidulo e la buccia striata di colore giallo-verde; la Caporale, dal sapore dolce e di colore rosso.

Questa I.G.P. è medio – piccola e di forma appiattita – rotondeggiante, ed è conosciuta soprattutto per la sua polpa croccante, compatta e bianca, gradevolmente acidula e succosa, con aroma caratteristico e profumo finissimo. La sua buccia è proprio ciò che costituisce uno dei suoi elementi principali grazie alle sue virtù salutari: altamente nutritiva per l’alto contenuto in vitamine e minerali, ricca di fibre, diuretica, particolarmente adatta ai bambini ed agli anziani, è indicata spesso nelle diete ai malati e in particolare ai diabetici.

Queste caratteristiche sono esaltate dalla pratica di maturazione dei frutti nei melai, i quali sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata, venendo poi periodicamente rigirati ed accuratamente scelti, scartando quelli intaccati o marciti.

Apprezzata, quindi, allo stato naturale, la melannurca viene utilizzata anche per la produzione di succhi, liquori e dolci tradizionali (crostate, sfogliatelle, mele cotte).

Nel marzo 2006 la la denominazione Melannurca Campana è stata riconosciuta quale Indicazione Geografica Protetta (ai sensi del Reg. CE n. 2081/92, con Regolamento (CE) n. 417/2006) e nel 2007 ne è stato riconosciuto il Consorzio di tutela Melannurca Campania, costituitosi già nel 2005.

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale

Il vitellone bianco dell’Appenino Centrale è l’unico prodotto di carne ad Indicazione Geografica Protetta in Campania ed è, ad oggi, l’unico marchio di qualità per le carni bovine fresche approvato dalla Comunità Europea per l’Italia. Si produce nelle aree interne collinari e montane degli Appenini Centrali, dal Tosco-Emiliano fino alla Campania, in cui sono comprese le province di Benevento ed Avellino.

Questa denominazione è riferita alle carni provenienti da bovini, maschi e femmine, esclusivamente di razza Chianina, Marchigiana e Romagnola, di età compresa fra i 12 ed i 24 mesi. Caratteristiche tipiche di questo animale sono la pigmentazione apicale nera, il mantello bianco e la precocità di maturazione.

L’eccellente qualità delle carni, che si presentano magre, sapide e a basso contenuto di colesterolo, si vede nel colore rosso vivo, la grana fine, la consistenza e l’elasticità. Qualità che derivano dalla razza dell’animale e dal regime alimentare durante il periodo dell’ingrassamento, e che la rendono un sinonimo di garanzia e bontà per la salute, grazie anche all’alto tasso di proteine e ferro in essa contenute.

Le razze Chianina, Marchigiana e Romagnola hanno origine in epoca etrusca: in vaste aree dell’Appennino centrale erano allevati, infatti, animali riconducibili alle razze su indicate, contraddistinti dal mantello bianco e dal notevole sviluppo somatico. Tutte e tre derivano dallo stesso ceppo podolico, quello del Bos Taurus Primigenius; in particolare, però, la Marchigiana, che è quella maggiormente diffusa in Campania, discende dall’unione delle altre due razze. Questo incrocio avvenne intorno alla metà dell’800 da parte degli allevatori marchigiani e completato nel secolo scorso.

L’indicazione Geografica Protetta è stata riconosciuta nel 1998 con Regolamento n. 134/98 (pubblicato sulla GUCE n. L 15/98 del 21 gennaio 1998), mentre il riconoscimento al Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale è arrivato solo nel 2004.

 

 

Pasta di Gragnano

Ultimo prodotto I.G.P. campano, ma non meno importante, è la Pasta di Gragnano, uno dei fiori all’occhiello del territorio napoletano e della città di Gragnano. E’ in questa città che la produzione di questa pasta affonda le sue radici. La storia data l’origine della fama di Gragnano come patria della produzione della pasta al 1845, quando il re Ferdinando II di Borbone, durante un pranzo concesse ai pastai gragnanesi il privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe.

In realtà le sue origini sono di gran lunga più lontane, al tempo dei romani, quando si iniziò a macinare il grano per trasformarlo in farina che serviva per la produzione del pane. Col passare del tempo, poi, la necessità per le classi povere di avere un minimo di scorte alimentari, fece nascere la produzione della pasta secca. Questa pratica si sviluppò molto nel corso degli anni, in particolare nella città di Gragnano, poiché, già nel 1500, ci si rese conto che la sua posizione geografica era particolarmente indicata per la produzione della pasta. Gragnano, infatti, sorge in cima ad una valle, sulla quale sfociano numerose fonti montane la cui acqua sorgiva conferisce alla pasta un sapore unico, mentre il suo clima caldo e ventilato ne favorisce l’essiccazione che, anticamente, avveniva all’aperto.

I primi pastifici nacquero nel XVII secolo e ben presto la città divenne un centro industriale molto rinomato, ricco di aziende che, ancora oggi, seguono le stesse regole di lavorazione di un tempo. L’arte del fare la pasta, infatti, è stata tramandata in questa terra di generazione in generazione e alcune tecniche sono ancora oggi determinanti per l’ottenimento di un prodotto di qualità: l’utilizzo della semola di grano duro e la trafilatura in bronzo. Quest’ultima, in particolare, conferisce alla pasta quella rugosità tipica che le permette di trattenere alla perfezione il condimento.

La pasta di Gragnano, insomma, è il prodotto realizzato all’interno del comune di Gragnano e ottenuto solo dall’impasto della semola di grano duro con l’acqua della falda acquifera locale, con un profumo di grano maturo, un sapore sapido, un gusto deciso e un colore giallo paglierino. Queste sono le caratteristiche che, nel 2013 (con Regolamento (CE) nº 969/2013 della Commissione del 2 ottobre 2013), hanno permesso di ricevere la denominazione I.G.P.

Attualmente a Gragnano sono attive decine di pastifici, otto dei quali sono confluiti nel Consorzio Gragnano Città della Pasta, fondato nel 2003 con l’obiettivo di difendere e rilanciare la tradizione di Gragnano.

Ora che li conoscete un po’ meglio, non vi resta che assaggiarli tutti.

Maria Anna Ambrosino

Laureata in Storia e Critica d'arte presso l'Università degli Studi di Salerno. Borsista presso ISISLab all'Università degli Studi di Salerno. Social Media Manager e gestore delle attività del Progetto Hetor. Open Data specialist.

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